Sul numero 5 di SM Italia, che come sapete quest’anno dedica uno spazio a lettere di caregiver che vogliono raccontare la sclerosi multipla dal loro punto di vista, a parlare è Erik, allenatore di kickboxing. Sulla rivista potete leggere la risposta di Laura, che risponde come persona con SM.
“Alcuni in palestra mi hanno chiesto ‘ma che cos’avrà mai, così giovane e carina’, lì ho capito, ancor più, cosa sia una disabilità invisibile, difficile da far capire e da capire, per noi.”
Quando Fanny telefonò, due anni fa, alla nostra scuola di kickboxing, chiedendo informazioni e mettendo le mani avanti: ‘Sono disabile’, un po’ mi ero allarmato. Non sarebbe comunque stato un ostacolo per insegnarle la disciplina e per allenarla. Poi la incontrai, e conobbi la SM. Da allora sono passate due stagioni di allenamento, stagioni in cui le ho insegnato il kickboxing e ho cercato di trasmetterle il concetto di ‘non mollare’. Un esempio? Noi lavoriamo a riprese di 3 minuti con uno di riposo: quando era a pezzi, lei si metteva subito seduta. E io le dicevo: non sederti di colpo, cammina, respira. Mantieni l’espressione del viso e respira. E così, domare l’ansia è diventato più facile, per lei. Ma la comunicazione, non sempre è filata liscia.
Se qualcuno può scrivere il tuo programma d’allenamento su un foglio di carta, quel programma non vale il foglio su cui è scritto.
[Andre Agassi, Open, 2011]
Una disabilità invisibile: devi conoscerla, rapportarti con la malattia, muoverti in equilibrio tra l’avere un occhio di riguardo, e ‘smuoverla’, non compiangerla mai. Non sempre è facile, non sempre viene bene: ho anch’io le mie giornate ‘no’, sono umano, ma mi rendo conto che una mia parola, un mio sprone, su lei può avere un peso tutto diverso. E questa responsabilità, la sento. Alcuni in palestra mi hanno chiesto ‘ma che cos’avrà mai, così giovane e carina’, lì ho capito, ancor più, cosa sia una disabilità invisibile, difficile da far capire e da capire, per noi. Così, a volte non è facile spronare senza rischiare di ferire. Anche perché qualcosa, nel tempo, è andato storto: peggioramenti, ricadute, effetti collaterali dei farmaci. Io sono lì, a dirle di ‘non sedersi’, non mollare, di mantenere il sangue freddo, ma di là c’è una SM subdola e una persona che ha una sensibilità. Lei mi tranquillizza ma io questa responsabilità la
sento. A volte, ripensando ai suoi momenti di crisi, penso che avrei potuto parlarle con più delicatezza. Per lei non è un problema, è trasparente, le sue critiche me le dice tutte in fila e anzi, mi aiutano a migliorare! Per me resta un sottile equilibrio non sempre facile da mantenere.
Erik Blasig